Animam meam
convertit
Il Signore «converte l’anima mia» (Sal 22, 3). La Vulgata,
in ciò concordando con i LXX, traduce in modo esatto la forma causativa del
verbo ebraico šub, la quale significa letteralmente fa tornare,
ovvero volge indietro nel giusto senso di marcia, come espresso dal
verbo greco epistréphō. Se il significato di una parola fa difficoltà
all’interprete, non è ammissibile modificarlo arbitrariamente per congettura in
modo da renderlo coerente con il senso da lui supposto. La traduzione
consacrata dall’uso (rinfranca l’anima mia) non ha alcuna base testuale,
ma risponde semplicemente al desiderio di armonizzare la frase in questione con
quanto precede: «In pascoli verdeggianti mi ha collocato, ad acqua di ristoro
mi ha condotto» (ibid., vv. 1-2). La traduzione letterale, tuttavia, è
perfettamente coerente con le parole immediatamente seguenti (mi ha guidato
su sentieri di giustizia; ibid., v. 3), nelle quali si svela il
senso reale delle metafore fino allora impiegate.
Inversione di marcia
Tale movimento di riorientazione è quello richiesto da ogni
conversione, sia da quella fondamentale, che conduce l’anima dal peccato alla
grazia, sia da quella ulteriore, che la sospinge alla ricerca della perfezione.
Anche chi si è convertito, infatti, pur avendo proscritto il peccato grave, è
costantemente tentato di ergersi a misura di tutte le cose, comprese quelle di
Dio. I progressi ottenuti nella condotta esterna alimentano spesso una sottile
forma di superbia che, non individuata e corretta per tempo, rischia di deviare
il cammino sotto apparenza di bene. Per questa ragione la seconda
conversione si deve concentrare sull’acquisizione dell’umiltà, senza la
quale il grado di bene raggiunto diverrebbe causa di rovina spirituale. Oltre
alla serena accettazione delle umiliazioni procurate dal prossimo e all’attiva
mortificazione dell’orgoglio, un efficace mezzo per crescere in questa virtù,
condizione imprescindibile della carità e, quindi, di tutte le virtù
autentiche, è la frequente meditazione su di essa e l’incessante richiesta
rivolta al Solo che possa donarla.
Chi cerca umilmente la verità nelle questioni di fede dibattute si
rende conto di aver bisogno, ben più che di una vasta erudizione o di solidi
argomenti, di puntuali illuminazioni interiori concesse dallo Spirito Santo.
Non si intende certo con ciò sminuire l’importanza di uno studio serio e della
conduzione di ragionamenti che reggano alla critica, ma mostrare che, nel campo
della conoscenza di ciò che supera l’intelletto umano, non si può fare a meno
di uno specifico aiuto dall’alto. Oggetto di indagine, infatti, non sono qui le
realtà terrene, bensì Dio stesso e il Suo agire nella storia; perciò la Chiesa
ne ha sempre riservato la trattazione a quei suoi membri che godono di una
grazia speciale in quanto insigniti dell’Ordine Sacro. La pretesa di
disquisirne con mezzi meramente umani si rivela una velata forma di naturalismo
intellettualistico, in quanto non tiene conto dell’assoluta necessità della
grazia di stato connessa al munus docendi, detenuto
esclusivamente da chi è ordinato e gode di una posizione canonica regolare in
seno alla Chiesa Cattolica.
Luminoso esempio
Questa consapevolezza non è espressione di una larvata forma di
tradizionalismo, incoerente con le critiche ad esso indirizzate, ma scaturisce
proprio dall’incessante processo di conversione, nel quale l’umiltà si sviluppa
di pari passo con il dono del timor di Dio, portando l’anima a riconoscere la
pura evidenza del reale e ad adeguarvisi prontamente. Dato che non detengo la pienezza
del sacerdozio, ho deciso di rinunciare ad esprimere opinioni personali sulle
questioni controverse e di limitarmi a riferire quanto già asserito da chi ha
maggiore autorità. Nonostante l’abissale distanza di scienza e di santità, oso
prendere a modello san Tommaso d’Aquino, che non scriveva né parlava mai prima
di aver pregato (nonché, per comprendere i passi più difficili della Scrittura,
pure digiunato), così da poter candidamente confessare al segretario Reginaldo
di aver conseguito il suo sapere non tanto con lo studio e la fatica, quanto
per ispirazione divina, mostrando in tal modo la necessità e il ruolo della
grazia nella cura delle discipline teologiche.
Avendo costantemente ricusato l’elevazione alla cattedra
arcivescovile di Napoli, rimase semplice sacerdote per tutta la vita; ciò non
gli impedì tuttavia di compensare l’inferiore grazia di stato con un’eccelsa
santità di vita. In particolare brillò in lui la virtù della castità, che gli
ha meritato il titolo di Doctor Angelicus e
non è estranea al retto sviluppo della sua intelligenza prodigiosa. Ogni dono
di natura, infatti, per quanto spiccato e capace di risultati sorprendenti, può
elevarsi a certi livelli solo in chi è profondamente unito a Dio e
interiormente unificato, condizione irraggiungibile senza la purezza della
mente, del cuore e del corpo. Non per nulla i servitori di Lucifero hanno
dispiegato ogni mezzo a loro disposizione per sradicare l’innocenza di bambini
e adolescenti, così che la loro mente si ripieghi sul mero godimento fisico e
si renda inabile a cogliere le realtà dello spirito. La vera tragedia del
nostro tempo è che gran parte della gente non riesce più nemmeno a concepire l’esistenza
dell’anima e la trascendenza del divino, assorbita com’è dalla materia.
Senza la castità, soprattutto, è impossibile sia ricevere la luce
soprannaturale dei doni di intelletto e di scienza sia gustare la verità con
quello di sapienza. San Tommaso aveva certamente letto tutta la Bibbia, i Padri
latini e quelli greci disponibili in traduzione, le opere di Aristotele e di
altri filosofi antichi; tutto questo, però, sarebbe stato motivo di orgoglio e
non avrebbe prodotto i risultati che conosciamo, senza la grazia di
quell’assoluta purezza che meritò a vent’anni, quando, rinchiuso dai fratelli
nel tentativo di convincerlo a rinunciare alla vocazione, respinse con un
tizzone ardente la ragazza lasciva introdotta nella sua stanza al fine di
corromperlo. Secondo la testimonianza resa dal confessore al processo di
canonizzazione, in età matura egli aveva conservato il candore e la semplicità
di un bambino di cinque anni: che schiaffo morale per i sedicenti cattolici
“adulti”, che spesso si voltolano nel fango e pretendono di legittimare i
propri abominevoli vizi!
Direzione da seguire
I Santi, con il solo esempio, costituiscono un rimprovero e uno sprone a quanti non hanno ancora effettuato la prima conversione con una sincera ed efficace rinuncia al peccato; anche a chi è già in cammino verso la perfezione cristiana, nondimeno, mostrano concretamente la via da percorrere in modo da giungere alla mèta. È pur vero che le nostre facoltà sono indebolite per conseguenza del peccato originale, ma la grazia, nella misura in cui l’accogliamo e cooperiamo con essa, le purifica e potenzia in modo che possiamo superare i limiti della nostra condizione. Ci conforta molto trovare condensate le osservazioni fin qui esposte nell’insegnamento di un pontefice che non fu tomista, ma condivideva con l’Aquinate la limpidezza di mente e la purezza di cuore: «Tutte le facoltà dell’essere umano vengono purificate, trasformate ed elevate dalla Grazia divina» (Benedetto XVI, Udienza generale del 16 Giugno 2010). «Parlando dei Sacramenti, san Tommaso si sofferma in modo particolare sul Mistero dell’Eucaristia, per il quale ebbe una grandissima devozione, al punto che, secondo gli antichi biografi, era solito accostare il suo capo al Tabernacolo, come per sentir palpitare il Cuore divino e umano di Gesù» (Idem, Udienza generale del 23 Giugno 2010).