Gianfranco Ghirlanda, S.I., «Cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice», La Civiltà Cattolica, n. 3905 (2 marzo
2013) 445-462
Cause della vacanza
della Sede Romana
La vacanza della Sede Romana si ha in caso di cessazione dall’ufficio da parte del Romano
Pontefice, che si verifica per quattro
ragioni: 1) morte; 2) certa e perpetua pazzia o totale infermità mentale;
3) notoria apostasia, eresia o scisma;
4) rinuncia.
Nel primo caso la Sede Apostolica è vacante dal
momento della morte del Romano Pontefice; nel secondo e nel terzo dal momento
della dichiarazione da parte dei
Cardinali; nel quarto dal momento della rinuncia.
Per quello che riguarda la morte, sono da seguire le
procedure stabilite per la sua sepoltura nella Costituzione apostolica Universi Dominici gregis (UDG), 22
febbraio 1996, n. 27-32 (1), mentre, prima di soffermarci sul caso della
rinuncia, è da accennare qualcosa riguardo a quello della certa e perpetia pazzia
o totale infermità mentale.
Il c. 333, § 2, afferma che il Romano Pontefice, nell’adempimento
del suo ministero (munus) di supremo
Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi,
e anzi con tutta la Chiesa (2).
Questa affermazione deriva da ciò che è affermato nel
c. 330, cioè dalla stretta unione che per volontà del Signore si ha tra il
Romano Pontefice e i Vescovi. Tale stretta unione comporta non solo la
comunione gerarchica dei Vescovi col Romano Pontefice, ma anche la comunione
del Capo col Corpo.
Il munus del Capo è esercitato
per il bene di tutta la Chiesa a tutela dell’unità della comunione ecclesiale.
Il Pontefice rappresenta il Collegio dei Vescovi e la
Chiesa nel senso che ha potestà su tutti
i Vescovi e su tutta la Chiesa, ma proprio a garanzia e tutela dell’integrità
della fede che Cristo ha depositato nella Chiesa per mezzo degli Apostoli,
della verità e santità dei sacramenti istituiti da Cristo, della struttura fondamentale
della Chiesa stabilita da Cristo e dei doveri e diritti fondamentali di
tutti i fedeli, nonché di quelli propri di ogni loro categoria.
Allora, se il Romano Pontefice non esprimesse quello che già è contenuto
nella Chiesa, non sarebbe più in comunione con tutta la Chiesa, e quindi con
gli altri Vescovi, successori degli Apostoli. La comunione del Romano Pontefice
con la Chiesa e con i Vescovi, secondo il Vaticano I (3), non può essere
comprovata dal consenso della Chiesa e dei Vescovi, in quanto non sarebbe più
una potestà piena e suprema liberamente esercitata (c. 331; “Nota Explicativa
Praevia” 4). Il criterio allora è la tutela della stessa comunione ecclesiale.
Lì dove questa non ci fosse più da parte del Papa, egli non avrebbe più alcuna
potestà, perché ipso iure decadrebbe dal suo ufficio primaziale. È il caso,
ammesso in dottrina, della notoria apostasia, eresia e scisma, nella quale il
Romano Pontefice potrebbe cadere, ma come «dottore privato», che non impegna l’assenso
dei fedeli, perché per fede nell’infallibilità personale che il Romano Pontefice
ha nello svolgimento del suo ufficio, e quindi nell’assistenza dello Spirito
Santo, dobbiamo dire che egli non può fare affermazioni eretiche volendo
impegnare la sua autorità primaziale, perché, se così facesse, decadrebbe ipso
iure dal suo ufficio. Comunque in tali casi, poiché «la prima sede non è
giudicata da nessuno» (c. 1404), nessuno potrebbe deporre il Romano Pontefice,
ma si avrebbe solo una dichiarazione del fatto, che dovrebbe essere da parte
dei Cardinali, almeno di quelli presenti a Roma. Tale eventualità, tuttavia, sebbene prevista in
dottrina, viene ritenuta totalmente improbabile per intervento della Divina Provvidenza
a favore della Chiesa (4).
La certezza e la perpetuità della pazzia, come la
totalità dell’infermità mentale, devono essere appurate attraverso accurate
perizie mediche. La cessazione dall’ufficio primaziale sarebbe solo dichiarata
da parte dei Cardinali, almeno di quelli presenti a Roma; quindi anche in
questo caso non si avrebbe un atto di deposizione (5). […]
NOTE
(1) Cf. AAS 88 (1996), 305-346.
(2) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica
postsinodale Pastores gregis, 16
ottobre 2003, n. 56, in AAS 96 (2004), 825-927.
(3) Costituzione Pastor
aeternus, cap. IV, in Denzinger-Schönmetzer, 3074.
(4) Cf. F.J. Wernz – P. Vidal, Ius canonicum, t. II, De
Personis, Romae 1933, 517s.
(5) Cf. ivi, 516.
(i neretti sono nostri)
Per l’intero articolo, cf. http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350455.html
Purtroppo i Cardinali, nel caso considerato, potrebbero non essere meno apostati, eretici o scismatici... anche quelli presenti a Roma. Ma allora sembra non ci sia modo di liberarsi di un Papa eretico, anzi, si dovrebbe stare ad aspettare un successore preparato da lui... Non c'è proprio speranza, nel caso considerato? Oltre alla certezza che Dio interverrà, dopo grandi tribolazioni.
RispondiEliminaDal punto di vista umano, non vedo via d'uscita. Solo il Signore può risolvere questa situazione con un intervento dall'alto, ma temo che, al punto in cui siamo arrivati, esso sarà inevitabilmente molto doloroso.
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