Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 24 febbraio 2018


La teologia del moribondo



Emendemus in melius, quae ignoranter peccavimus: ne subito praeoccupati die mortis, quaeramus spatium paenitentiae, et invenire non possimus (dall’Ufficio divino).

«Correggiamo in meglio i peccati commessi per ignoranza, affinché, sorpresi all’improvviso dal giorno della morte, non cerchiamo il tempo di far penitenza senza poterlo trovare». Così la liturgia tradizionale ci esorta in questo periodo della Quaresima. È un richiamo di vitale importanza. Ogni uomo ignora del tutto il momento della propria morte, quando agli occhi dell’anima, che vedrà aprirsi innanzi a sé l’eternità, si svelerà il vero valore di ogni singolo atto compiuto durante la vita terrena. Allora, nella piena luce della perfetta verità ed eccelsa santità di Dio, non più velate allo sguardo della creatura, la subitanea presa di coscienza sarà terribile per chi sarà vissuto lontano da Lui e in modo contrario alla Sua volontà. Il desiderio di riparare le proprie colpe, che appariranno in tutta la loro gravità, si scontrerà inesorabilmente con la mancanza di tempo per l’imminenza del trapasso. I demoni accerchieranno la povera anima per indurla alla disperazione e, a meno di una grazia particolare ottenuta in passato o da qualcun altro, ci riusciranno.

Questa preziosa testimonianza della lex orandi include, come oggetto dello sforzo penitenziale, anche le colpe commesse per ignoranza. Questo potrebbe sorprendere chi sa che il peccato richiede la piena avvertenza e il deliberato consenso. Indubbiamente essi sono necessari perché ci sia un peccato in senso formale, cioè una disobbedienza a Dio consapevole e volontaria; in mancanza, tuttavia, si ha comunque un peccato materiale, perché si è compiuto il male e si è violato l’ordine divino del mondo. Nell’attuale situazione culturale e religiosa (che ho ultimamente rievocato) di frequente ignoranza pressoché totale dei Comandamenti divini e della loro applicazione, questa eventualità si verifica, probabilmente, abbastanza spesso. Ma, ammesso che certe persone non perdano lo stato di grazia per il semplice fatto che non si rendono minimamente conto di peccare in materia grave, ciò non le scusa necessariamente del tutto, perché l’ignoranza non sempre è incolpevole: ogni essere umano, essendo dotato di coscienza, ha l’obbligo di cercare la verità e, nella misura in cui può conoscerla, di osservarla nei suoi atti.

Oggi, tuttavia, i dettami della coscienza sono stati talmente oscurati dalla “cultura” dominante e dalla “catechesi” rinnovata che in molti casi l’ignoranza pare effettivamente non imputabile e, con essa, i peccati commessi di conseguenza. Dobbiamo per questo lasciare la gente nell’oscurità e limitarci a giustificare i loro comportamenti? Ma questa non è carità: quelle persone, molto spesso, vivono in disordini gravi dal punto di vista morale. Ciò non è certo un bene per loro e, quand’anche non abbiano perso lo stato di grazia, è un ostacolo all’azione della grazia stessa, che non può agire per distoglierli dal male in cui sono immersi, in quanto non trova la minima collaborazione. E poi, come possiamo esser sicuri che non commettano peccato mortale in senso formale? Vediamo forse nella loro coscienza? Vogliamo metterci al posto di Dio? Il nostro compito di cristiani – specie se sacerdoti – è quello di strappare le anime al demonio, non quello di avallare la loro condotta sostenendo che non è ipoteticamente imputabile. Se un peccatore, per morte improvvisa, si ritrova di colpo dall’altra parte, viene immediatamente a conoscenza di ciò che avremmo dovuto dirgli noi. Quante anime del Purgatorio rimpiangono amaramente di non essere state adeguatamente istruite e avvertite in tempo da chi pur aveva questo compito…

Stare al capezzale di un moribondo è estremamente istruttivo; è una delle esperienze più fruttuose – per quanto sconvolgente – del ministero sacerdotale. Là non ci sono più scuse, sottigliezze, disquisizioni… ma solo il giudizio. Là si impara la vera teologia. Certo, Dio è Padre misericordioso, ma al contempo infinitamente santo e giusto. Allo schiudersi della visione, la Sua gloria sublime irradia un’irresistibile luce su ogni più piccolo dettaglio dell’esistenza, che in un attimo scorre davanti agli occhi dell’anima in agonia. Essa coglie così, in un angoscioso sussulto, la propria tremenda responsabilità di creatura dotata di coscienza e libero arbitrio: l’aver lasciato che la prima si atrofizzasse e usato così male il secondo non trova alcuna giustificazione, se non quella fornita, magari, proprio da un prete, che in quel momento è quasi certamente latitante. Forse sta preparando lo spettacolo della domenica seguente o, semplicemente, sta navigando su Internet;  ma i moribondi non li accompagna di certo: nessuno, del resto, gliel’ha insegnato, mentre le struggenti e solenni preghiere di raccomandazione dell’anima sono state abolite… tanto si salvan tutti. Al massimo, si farà vivo per dare una spruzzata al cadavere, quando ormai servirà a ben poco.

Che cosa ha imparato, d’altra parte, quel povero prete (che ero anch’io finché, per un’immeritata quanto inestimabile grazia, non sono tornato alla fonte)? La teologia che ha studiato non gli serve a nulla per procurare la salvezza alle anime affidate alle sue cure. In essa era tutto un problema, una discussione, un’analisi critica… La verità perenne era ridotta a sviluppo del dogma, la legge divina a evoluzione della coscienza ecclesiale; gli autori sacri e i Padri della Chiesa (grazie alla “riscoperta” della Scrittura e alla “rinascita” patristica) erano messi sullo stesso piano di qualunque scrittore, cristiano o meno, ortodosso o eretico, in una serie indifferenziata di “fonti” che parevano tutte dotate della stessa autorità… Prima di arrivare a un’affermazione un po’ meno incerta o condizionata bisognava farsi sfiancare da estenuanti ricostruzioni storiche, che lasciavano in piedi solo qualche rudere delle poche cognizioni di fede che uno aveva acquisito in precedenza… Concetti chiari e definiti erano aborriti come esecrabile retaggio della teologia manualistica neoscolastica… che orrore!

È per questo che, oggi, se un fedele pone al parroco un semplice quesito di fede o di morale, deve sperare che non abbia tempo o voglia, perché corre il forte rischio di ricevere una risposta erronea o, nel migliore dei casi, di imbarcarsi in un’interminabile disamina che lo lascerà con le idee più confuse di prima. Se poi, per uscire dalle nebbie, ricorrerà al “magistero” contemporaneo, incapperà in scogli capaci di farlo naufragare. Se risalirà al Magistero recente, dovrà prenderlo con le molle, per evitare di attribuire all’esperienza personale dell’uomo un peso eccessivo rispetto all’oggettiva legge di Dio o di considerare Lui stesso la migliore delle ipotesi, piuttosto che una realtà evidente alla retta ragione… Alla fine, per non vedersi obbligato allo sforzo di filtrare i testi con cognizioni insufficienti, gli converrà saltare indietro di almeno sessant’anni e, con grande sollievo, ritroverà un’atmosfera respirabile senza precauzioni, non ancora inquinata dai miasmi dell’idealismo tedesco, dell’esistenzialismo cristianizzato e di un personalismo andato un po’ troppo lontano. Se invece vuol prendere la via direttissima, pensi agli estremi istanti. Un’efficacissima regola di discernimento, indicata da sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi, è la seguente: decidere quello che desidererò aver deciso quando sarò in punto di morte. Rispetto alla teologia di una Chiesa moribonda, la teologia del moribondo è molto meglio, senza paragone.

sabato 17 febbraio 2018


Padre nostro



Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli… non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male (Mt 6, 9.13).

È il Signore stesso che ci ha insegnato a pregare, sia con la dottrina che con l’esempio. La prima parola della preghiera cristiana per eccellenza, che in prossimità del Battesimo è consegnata ai catecumeni, manifesta la condizione propria del battezzato, l’inaudita figliolanza divina. Il diletto Unigenito, Figlio eterno per natura, ci ha resi figli per partecipazione mediante l’incorporazione a Sé. Nel Vangelo il comportamento stesso del Messia è rivelatore: Egli non prega mai insieme con i discepoli, ma sempre da solo; la Sua relazione con il Padre è assolutamente unica e irripetibile, pur potendo essere comunicata per grazia, motivo per cui insegna loro come rivolgersi a Lui. Tale istruzione proviene proprio da Colui che, facendosi uomo, ci ha dischiuso le insondabili profondità della vita trinitaria al fine di aprircene l’accesso con la fede e i Sacramenti.

La nuova traduzione del Pater noster, che in Francia è già entrata nell’uso liturgico con la prima Domenica di Avvento, è stata presentata come un tentativo di rendere il testo originale in modo più adeguato alla mentalità contemporanea. La vecchia traduzione della penultima domanda – si ripete – non era errata, ma poteva provocare degli equivoci, facendo pensare che Dio stesso sia origine della tentazione. Personalmente posso testimoniare che, da quando la recito, un’idea del genere non mi hai nemmeno sfiorato, come moltissimi cattolici praticanti. Il problema potrebbe sorgere per quanti hanno scarsa familiarità con la fede, ma credo proprio che non si arrovellino per questo genere di questioni. La difficoltà nasce piuttosto per chi prega abitualmente ed è quindi intimamente legato alla lettera di determinate formule, specialmente se provengono direttamente dal Vangelo: continui cambiamenti non aiutano certo a crescere nell’unione con Dio.

Pare proprio, dunque, che ci troviamo di fronte all’ennesimo caso di problema inesistente, la cui “soluzione” non fa altro che complicare ulteriormente la vita dei credenti. Lasciamo da parte l’istruzione Liturgiam authenticam, che, ormai totalmente cassata, raccomandava traduzioni fedeli ai testi originali, ma fa parte dei molteplici tentativi di rimediare ai disastri della cosiddetta “riforma liturgica” senza andare alla radice del male. Lasciamo altresì da parte le dotte disquisizioni sul verbo greco eisphérō, tradotto esattamente dalla Vulgata con il verbo inducere, che in italiano significa indurre. C’è poi la parola tentazione (peirasmós, tentatio), che nella Bibbia indica tanto una prova di qualsiasi genere quanto la sollecitazione al male. Se volessimo accodarci agli esegeti nelle loro interminabili – e discordi – elucubrazioni, non ne verremmo più fuori, ma ci perderemmo in un labirinto senza via d’uscita. Basta un po’ di buon catechismo per sapere che Dio non sollecita nessuno al peccato (cf. Gc 1, 13-15), ma per saggiarci permette che il diavolo ci tenti, così come ci  mette alla prova in tanti altri modi, permettendo disgrazie, ingiustizie e malattie.

L’impressione è che questa volontà ostinata di “correggere” i testi sacri, almeno in traduzione, scaturisca da un tacito rifiuto della paternità divina, quale ci è stata rivelata dalla Scrittura e dalla Tradizione, a vantaggio di una nuova immagine di Dio, costruita intellettualmente in modo che sia compatibile con la “cultura” odierna. Il fatto è che la società attuale è, almeno nella sua dimensione pubblica, rigorosamente atea. Non tiene più nemmeno il deismo illuministico, che del resto era una menzogna bella e buona (si fa per dire), essendo volutamente pensato per sfociare nell’ateismo di massa. Una certa “pastorale”, tuttavia, si attarda caparbiamente a cercare un dialogo con chi, da quell’orecchio, non ci sente più da un pezzo. Davvero quella parte della Chiesa è rimasta indietro di duecento anni, come uno dei suoi principali ispiratori rinfacciava alla parte “conservatrice”, senza rendersi conto che accusava se stesso.

Che il Padre celeste metta alla prova i Suoi figli per educarli, correggerli e farli crescere in grazia è un’idea insopportabile agli esponenti della “neochiesa”, i quali, avendo adottato il culto dell’uomo, professano ormai un altro “dio”, inventato a immagine e somiglianza dell’uomo postmoderno, dimentico della propria natura e vocazione, incapace di vera paternità e ripiegato sulla ricerca di godimenti immediati quanto fugaci. Quei signori propongono un’idea di Dio adatta a persone immature che si rifiutano di maturare e funzionale a un loro illusorio benessere. Una “fede” del genere non serve esattamente a nulla, se non a fornire un vago conforto emotivo, quando se ne provi il bisogno, a chi “sceglie” di cercarlo lì. La parrocchia, di conseguenza, diventa per molti un rifugio in cui sentirsi autorizzati a regredire psicologicamente, moralmente e spiritualmente. Il cambio di paradigma dell’Amoris laetitia è tutto qui: non c’è nessuna riscoperta evangelica, ma soltanto la legittimazione di una resa incondizionata al nemico, che ha ridotto tanti cattolici a bambocci inabili a una vita morale matura, inconsapevoli del fatto che Cristo concede a tutti la grazia sufficiente per adempiere i Comandamenti e ignari dei Comandamenti stessi, che dobbiamo osservare per poter essere graditi a Dio.

In parole povere, un membro o un dirigente della “neochiesa” è uno che non sopporta che ci sia Qualcuno al di sopra di lui, verso il quale, con lo sforzo personale e con l’aiuto della grazia, sia chiamato a innalzarsi e al quale debba un giorno rendere conto. Il suo “dio” è qualcuno a cui deve andar bene qualsiasi scelta o comportamento umano e che non ha mai nulla da recriminare o tanto meno da giudicare, visto che è “misericordioso”; ma questa è soltanto un’idea puerile che dovrebbe servire a far star meglio le persone: in che senso non è chiaro, visto che è contraria, non dico alla fede rivelata, ma al semplice buon senso, anche dell’aborigeno australiano o del pigmeo equatoriale (i quali, quanto a religiosità naturale, potrebbero dar lezione a tanti pseudocattolici). L’immagine che mi sembra render più da vicino quell’idea è quella del distributore di bevande calde: in ufficio non è indispensabile alla sopravvivenza, ma, già che c’è, ci si ficca dentro la monetina e ci si beve un caffè, interrompendo ogni tanto la pausa per lavorare pure un pochino…

E voi, in un contesto del genere, volete parlare di Humanae vitae, indissolubilità del matrimonio, continenza prematrimoniale e via dicendo?… È semplicemente penoso lo spettacolo di quelli che si affannano a “salvare” la dottrina pur aggiornandone lapplicazione: se è immutabile la verità rivelata, è altrettanto immutabile la prassi morale che su di essa si fonda. E poi, di fatto, per la maggior parte dei battezzati è finito il Magistero, che non conta assolutamente più nulla. Forse quei teologi” vorrebbero rassicurare i pochi cattolici che hanno ancora la fede illudendoli che in realtà non stia cambiando nulla. Ma sono cinquant’anni che ci cantano questa manfrina… ed è cambiato tutto, è nata una nuova religione. Ci prendono per cretini? A nuova religione, nuovo culto e nuove preghiere: se non altro, in questo sono molto coerenti. Per modificare la fede, bisognava inventare nuovi modi di rivolgersi e di rendere onore alla divinità (che in questo caso, essendo una proiezione delluomo, non esige da lui alcun ossequio – concezione obsoleta e strasuperata – ma desidera soltanto una sua infantile felicità in questa vita; daltronde, ce n’è forse un’altra?!?).

Quando chiediamo al Padre di non indurci in tentazione, non ci aspettiamo certo che ci esoneri da qualsiasi prova, ma che ci preservi dalle tentazioni superiori alle nostre forze. Una tentazione può provenire da tre sorgenti: il diavolo, il mondo, la carne. Oggi il diavolo è scatenato; il mondo è impazzito; la carne sollecitata in modi e con mezzi inediti, impensabili fino a pochissimi decenni fa. Il Padre sa bene fino a che punto le nostre anime siano indebolite non solo dalla mancanza di una solida formazione e di un previdente addestramento, ma anche dai continui assalti delle forze nemiche, alle quali nulla sembra più opporsi. Per questo dobbiamo recitare il Pater con un ardore e una consapevolezza rinnovati, domandando a Dio di non lasciare che la prova ci schiacci e che le tenebre ci risucchino. Non dimentichiamo mai che la Sua assistenza e la Sua grazia non sono un dovuto: sono un dono concesso per pura benevolenza a creature peccatrici. Chiediamo quindi con umiltà e perseveranza: il Padre celeste non delude i Suoi figli; a chi accetta la sua severa pedagogia fa gustare dolcezze incomparabili.

Mi hai fatto conoscere le vie della vita; mi colmerai di letizia con il tuo volto: alla tua destra delizie senza fine (Sal 15, 11).

sabato 10 febbraio 2018


Peccati contro lo Spirito Santo



Genti peccatrici, populo pleno peccato miserere, Domine Deus. Esto placabilis super nequitiam populi tui (dall’Ufficio divino).

Nella storia dell’Antico Testamento, le minacce più gravi avevan di solito origine da settentrione (cf. Ger 1, 14). Invasori e razziatori provenienti dalla Mesopotamia non potevano infatti attraversare il deserto che li separava dalla Palestina; per questo dovevano risalire l’Eufrate e calare poi da Nord. Quando annuncia agli esuli in Babilonia l’ormai prossimo ritorno in patria, il Profeta rivela che Dio aprirà miracolosamente una strada nel deserto per farvi camminare i redenti, così come aveva tracciato una via nel mare perché i padri potessero marciarvi all’asciutto (cf. Is 43, 16-20). Ciò fa chiaramente comprendere che normalmente anche le carovane, seguendo il grande fiume, dovevano compiere un giro molto più lungo. Quando erano degli eserciti a mettersi in marcia, il popolo eletto tremava. Anche più tardi, nell’avvicendarsi degli antichi imperi, la minaccia verrà sempre da settentrione, come nel caso di quella potenza seleucide che nel II secolo a.C. cercò di annientare la religione d’Israele, tanto che ancora nell’Apocalisse lo scontro finale si annuncerà dalla stessa direzione (cf. Ap 20, 8).

Non a caso, nella liturgia tradizionale, il Vangelo della Messa solenne è proclamato dal diacono rivolto verso il Nord, considerato regione del buio a motivo della correlazione, legata all’inclinazione dell’asse terrestre, tra latitudine e durata delle giornate invernali. La luce della parola evangelica trattiene e dissolve le tenebre del mondo che ignora o combatte la verità divina; tale parola deve dunque risuonare con forza tramite i suoi annunciatori. Anche in questi ultimi secoli, in effetti, successive ondate di caligine si sono riversate sulla Chiesa da settentrione: eresia luterana, ideologia massonica, idealismo tedesco, materialismo dialettico, scientismo positivistico, esistenzialismo ateo… tutte gravissime derive del pensiero che hanno spento la luce della fede in gran parte dei popoli europei e, di rimbalzo, degli altri popoli cristiani, dipendenti dall’Europa sia sul piano religioso che su quello culturale. Il peggio è che, per un’esplicita volontà di “dialogare” con il mondo, i germi pestiferi responsabili di questo oscuramento sono stati deliberatamente assorbiti anche dai teologi cattolici, che in tal modo han finito, in molti casi, col tradire la verità rivelata, come nella cosiddetta svolta antropologica.

Chi proclama il Vangelo, oggi, dev’essere animato da una vivissima consapevolezza di essere stato posto come baluardo contro l’avanzare delle tenebre. Dall’oscurità che avvolge la società odierna emergono mostri ripugnanti che hanno ormai invaso anche parrocchie, curie diocesane, facoltà teologiche: idee, programmi e orientamenti del tutto irrazionali, aberranti e scandalosi. Ciò che disgusta di più è la sfrontatezza con cui certi chierici vomitano le loro assurdità pretendendo di essere in perfetta sintonia con l’insegnamento e la volontà di Cristo, che invece disonorano e bestemmiano in modo inaudito presentandoli come fondamento delle loro empietà. Di fatto, la parola del Salvatore, scritta e tramandata, li confuta su tutta la linea senza possibilità di replica; tuttavia l’ignoranza pianificata e la manipolazione delle menti sono riuscite a stravolgerne completamente ricezione e comprensione, fino a farle dire l’esatto opposto.

Non è per il gusto di rimestare nel torbido, ma per rinfrancare la fede e rintuzzare gli errori che, ancora una volta, mi sento obbligato a rievocare episodi sintomatici della deriva di molti Pastori, avvenuti nelle ultime settimane. Del primo è protagonista un sacerdote bergamasco, professore di morale nel locale seminario, che in una conferenza alla Gregoriana, argomentando la necessità di “rileggere” l’Humanae vitae alla luce dell’Amoris laetitia, è giunto in sostanza a presentare la contraccezione non solo come lecita, ma in certi casi praticamente obbligatoria. Purtroppo (per lui) la condanna della contraccezione è un insegnamento irreformabile; oltretutto – dovrebbe saperlo bene – non esiste circostanza che possa render lecito un atto intrinsecamente cattivo, così come non c’è “rilettura” di sorta che possa annullare il Magistero precedente. Per inciso: da chi è stato incaricato di sparare le sue castronerie da un pulpito così prestigioso?

Il secondo caso è quello del Vescovo di Como che, dopo aver sottoposto ai suoi preti una “bozza” di documento sulla pastorale dei divorziati risposati elaborata, anche qui, da un professorino del suo seminario, li ha convocati per annunciar loro che d’ora in poi dovranno ammetterli ai Sacramenti. La tesi “teologica” fondante del documento, evidentemente definitivo fin dall’inizio, è che, quando sia impossibile recedere da uno stato coniugale irregolare, esso non può più essere imputato come peccato; inoltre, dato che gli atti unitivi sono normale espressione di quello stato, essi non vanno più considerati illeciti. Peccato che si tratti di un volgare sofisma con cui si oscura completamente la responsabilità personale di chi in quello stato liberamente si è posto e liberamente permane. Il fatto che dall’unione illegittima siano nati dei figli, poi, non impedisce affatto l’astensione da ulteriori commerci sessuali (la quale, per non far torto a Giovanni Paolo II, non è proibita, ma lasciata alla scelta della coppia come opzione facoltativa, anziché come conditio sine qua non).

Lo sdoganamento del concubinaggio adulterino causerà innumerevoli sacrilegi, che già non sono affatto infrequenti, e porterà tante anime alla dannazione. Ma qui il peccato, se non altro, è ancora secondo natura. Udiamo invece che a Torino un altro professore di seminario, responsabile della pastorale degli omosessuali, ha organizzato un ritiro in convento per “fidanzati”. Il lodevole scopo era colmare una grave lacuna della legge che istituisce le unioni civili, la quale non prevede l’obbligo della fedeltà. Ecco allora che lo zelante apostolo si assume l’incarico di riempire i vuoti dell’ordinamento statale e si offre per insegnare ai sodomiti ad essere fedeli… cioè a perseverare nel peccato mortale, anziché a superare il loro disordine. Ma all’ultimo momento l’Arcivescovo, pressato dai giornalisti e dal clero (non certo dal Vaticano), sospende il ritiro, guardandosi bene, tuttavia, dal redarguire il prete per le sue scandalose posizioni. Tra parentesi: qualunque psicologo onesto sa benissimo che la fedeltà, in quel tipo di relazione, è strutturalmente impossibile, dato che quei disturbi affettivi rendono le persone gravemente instabili, spingendole a un’incessante quanto insaziabile ricerca di nuove esperienze.

Pensate a quei poveri seminaristi, costretti a subire vescovi e docenti del genere… Ma provate anche a immaginare lo stato dell’anima di questi ultimi: se sono sinceramente convinti di quanto affermano, sono completamente obnubilati nell’intelletto e nella coscienza; in caso contrario, sono degli imbroglioni, mentitori, disonesti, ipocriti e spergiuri: per guidare una diocesi e insegnar teologia, infatti, bisogna professare il Credo e giurare fedeltà al Magistero. Essi sono fuori della comunione ecclesiale in quanto disobbediscono scientemente alla legge di Cristo, la quale, nel regime della grazia, può essere sempre osservata e deve quindi essere osservata: ciò che era impossibile al peccatore è diventato possibile al redento. Altrimenti, in che consisterebbe la novità cristiana di cui si riempiono tanto la bocca? Nel vivere come tutti gli altri, commettendo gli stessi peccati, ma sentendosene giustificati?

Se uno non è d’accordo con la Chiesa e con la sua dottrina, è libero di andare dove vuole: dai valdesi, dai luterani, dagli anglicani, che professano le medesime aberrazioni – e, proprio grazie ad esse, sarebbero già scomparsi, se la massoneria non praticasse con loro l’accanimento terapeutico. Ma come sono ingenuo: stare nella Chiesa Cattolica assicura una posizione, un potere, un prestigio imparagonabili… Piuttosto che sloggiare (come sarebbe logico e doveroso), perché non trasformare la Chiesa in base alle proprie idee? Fra l’altro, ci sono stati illustri precedenti in quest’ultimo mezzo secolo: è una strategia di successo, basta spingerla fino all’estremo. In fin dei conti, le iniziative di quei signori, che, essendo cattolici solo di nome, esercitano illegittimamente il ministero, servono semplicemente da apripista per la realizzazione dell’agenda di qualcuno che sta più in alto di loro e occupa il suo posto in modo altrettanto illegittimo.

La loro vittoria, però, non sarà mai completa: ci saranno sempre preti che continueranno, tetragoni, a predicare la sana dottrina per la salvezza delle anime e, con loro, fedeli decisi a perseverare nella verità che salva, costi quel che costi. Quanto ai traditori, ripetete con me: Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stipulam ante faciem venti (Sal 82,14). È parola di Dio, sempre e infallibilmente efficace. Come? Non è carità maledire gli empi impenitenti? E chi l’ha detto? Vorremmo essere più perfetti del buon Dio, che per mezzo dello Spirito Santo ha ispirato quella preghiera e, una volta fattosi uomo, l’ha recitata Egli stesso? È proprio l’amore per Lui che ci spinge a chiedergli di neutralizzare chi Lo vilipende apertamente e ne allontana le anime, ma anche l’amore per le anime stesse e perfino per quegli scellerati, che corrono a rotta di collo verso l’Inferno: l’essere spazzati via potrebbe risultare per loro l’ultima occasione per rinsavire, almeno in extremis.

N.B.: per aggiornamento, leggete http://www.lanuovabq.it/it/linaccettabile-adulterio-sdoganato-dai-vescovi

sabato 3 febbraio 2018


Noi non abbiamo il culto dell’uomo



A veritate quidem auditum avertent, ad fabulas autem convertentur (2 Tm 4, 4).

Ci dispiace dover contraddire papa Montini in ciò che affermò nel solenne discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, dai contenuti a dir poco scandalosi: «La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

Forse il Signore ha aspettato che arrivassimo al collasso totale per aprirci gli occhi sulla carica eversiva di queste parole; prima, vista la generale euforia, ha lasciato che ci stordissimo ben bene per cinquant’anni nell’ebbrezza del nuovo umanesimo (ebbene sì, proprio lo stesso noioso leit-motiv della CEI). Ma già allora ci si sarebbe potuti domandare come possa la religione del Dio incarnato incontrarsi con immensa simpatia con la religione dell’uomo che si fa Dio, ossia con la religione, tipicamente massonica, dell’Anticristo. «Quale intesa tra Cristo e Beliar?» (2 Cor 6, 15). È proprio la tentazione delle origini, che portò l’uomo alla sua rovinosa caduta: «Voi sarete come Dio» (cf. Gen 3, 5). Questo figlio della terra che, istigato dal diavolo, pretende di farsi “dio”, quanto più si fa grande, tanto più dilata a dismisura i bisogni del suo ego arrogante e presuntuoso – quei bisogni, appunto, che da quanto asserito avrebbero assorbito l’attenzione del Concilio.

Questo assurdo equivoco ha forse condotto gli umanisti moderni (che non rinunciano affatto alla trascendenza delle cose supreme, ma la negano e combattono) a rivedere il loro rapporto con la Chiesa e con la fede cattolica? Ponete la domanda a Eugenio Scalfari. Vi risponderà che è avvenuto l’esatto contrario: è la Chiesa che ha riveduto il suo rapporto con l’umanesimo ateo, fino ad assorbirlo in sé e ad approvarlo per bocca del suo capo, intimo amico di lui. Nel frattempo il «mondo umano moderno», rincuorato dalla «corrente di affetto e di ammirazione» che su di esso «si è riversata dal Concilio», è sprofondato in un baratro di peccato, abiezione e laidume che la storia non aveva mai conosciuto prima, fino all’irrazionale deformazione del concetto stesso di uomo, tesa a giustificare e promuovere tale disgustosa decadenza.

Nella frenetica e stolida rincorsa dietro questo mondo impazzito, anche gran parte dei vescovi, preti e fedeli sembrano aver perso la ragione, oltre alla fede; i pochi che si tengono ancora aggrappati all’una e all’altra vengono totalmente isolati, screditati e delegittimati. Perfino quanti conservano una fisionomia più “classica”, malgrado l’aspetto esteriore, sono spesso interiormente programmati in base a quella poltiglia di personalismo, egualitarismo, inclusivismo comunitario e socialeggiante con la quale, ignorando totalmente la Tradizione, si può pacificamente annullare anche la Scrittura, “riletta” in modo tale da farle dire l’opposto di ciò che di fatto afferma e che la Chiesa vi ha sempre compreso. La manipolazione delle menti è stata così fine e pervasiva che questa mistificazione onnicomprensiva passa normalmente inavvertita anche dagli intelletti più sinceri, deformati dagli studi teologici e dai cliché seminaristico-conventuali.

Con il grimaldello di una libertà di coscienza sganciata dalla verità oggettiva, il nuovo umanesimo conciliare ha forzato ogni logica, plasmando una mentalità ecclesiale secondo cui nessuno, praticamente, può essere più considerato responsabile di nulla, anzi nessun comportamento o quasi può essere più valutato come intrinsecamente cattivo: il valore di qualsiasi azione dipende dalle circostanze; se proprio non si riesce a farla passare per buona, essa non è imputabile… L’abolizione del pensiero logico-metafisico, tuttavia, non ha di certo contribuito alla tutela della dignità umana: al contrario, il sostanziale annullamento della responsabilità degrada l’uomo al rango delle bestie. C’è poi da stupirsi se la cultura contemporanea riduce l’intelligenza al livello tecnico-pratico e concepisce la conoscenza unicamente come una griglia di ipotesi utile allo sfruttamento della realtà in funzione di determinati obiettivi? In compenso, questa “scienza” che per principio rinuncia alla verità dà per scontati i “dogmi” indiscutibili del materialismo evoluzionistico…

La “fede” che oggi il mondo esige, all’opposto di quella che è dovuta a Dio, pretende un’assunzione cieca di dati e contenuti del tutto irrazionali, come l’assurda idea che un universo incredibilmente complesso e ordinato si sia determinato da solo e per caso, senza un artefice intelligente. È molto peggio dell’ipotesi che il vostro computer si sia formato casualmente, assemblandosi pezzo per pezzo in milioni di anni… o che la Divina Commedia si sia composta da sé con la casuale ricaduta dei caratteri tipografici in seguito all’esplosione di una tipografia. Anche la storiella, seppur meno pretenziosa, del signor Darwin (quella delle scimmiette immortali che, avendo a disposizione delle macchine per scrivere e un’infinita quantità di carta, potrebbero prima o poi comporre a caso il Pater noster) merita un Nobel per la logica: sul piano meramente statistico, una probabilità su miliardi è nulla ed equivale a impossibile. Per inciso: esistono scimmie immortali? e chi ha fornito loro le macchine per scrivere e l’infinita quantità di carta?

Grazie al nuovo umanesimo, che ha messo in soffitta l’apologetica, i preambula fidei e gli argomenti sulla ragionevolezza della rivelazione cristiana, in moltissime anime la fede è stata rimpiazzata da questo genere di barzellette, che provocherebbero grasse risate, se non fossero tragicamente reali. Poi come fa un bambino a credere in Dio creatore (ammesso che almeno al catechismo gliene parlino ancora), se a scuola lo indottrinano con le assurdità del Big Bang e dell’evoluzionismo? E, se non può credere in Dio creatore, come crederà in tutto il resto? Non ci prenderà piuttosto per matti tutti quanti, preti, catechisti e compagnia? Niente paura: in parrocchia ci sarà pur qualche movimento che, con le sue proposte, lo illuderà di poter saltare il problema a piè pari, perché l’importante è l’esperienza, lo Spirito, il cammino… in cui c’è tutto, senza alcun bisogno d’altro. Poi, se il vescovo gli richiederà un giorno la frequenza della locale facoltà teologica, sfangherà in qualche modo gli esami tanto per levarseli, ma non sentirà alcun bisogno degli studi. Certo, in questo momento è paradossalmente meglio così; ma quando mai scoprirà la retta fede e la sua giusta comprensione intellettuale?

Ringraziamo dunque i cultori dell’uomo che con la loro immensa simpatia hanno spalancato le porte della Chiesa e dei credenti a chi lo riduce a scimmia, a un essere incapace di verità e privo di senso morale. Ma ringraziamo soprattutto e sul serio – non mi stancherò mai di ripeterlo – il Signore, che, in questo generale oscuramento delle menti, ci ha lasciato il ben dell’intelletto e una coscienza vigile. Si soffre, indubbiamente, ma ribadisco che è buon segno: se non soffrissimo, saremmo messi male. Quindi: sursum corda! Riprendiamo il filo là dove è stato tagliato e ricominciamo a cucire. A poco a poco, il ricamo riprenderà la sua forma e mostrerà di nuovo la sua  bellezza millenaria. L’antico, per il cristiano, è sempre nuovo, così come l’autenticamente nuovo è sempre antico, perché ha radici eterne e un compimento al di là del tempo.

P.S.: se qualcuno vuole approfondire, edificando sulle fondamenta del Catechismo di san Pio X, può studiarsi il Catechismo Romano o anche il Compendio di Teologia Dogmatica di Ludwig Ott. Per la filosofia cristiana, potete ordinare un’opera introduttiva di padre Cornelio Fabro (come l’Introduzione a san Tommaso); per la morale, il Dizionario di Teologia Morale diretto da Francesco Roberti. Sono ovviamente opere un po’ datate e non possono quindi contemplare i problemi più recenti, specie in ambito etico; tuttavia sono sempre valide e trasmettono la capacità di impostare correttamente una riflessione anche da sé.